Thomas Robert Malthus, economista e demografo inglese
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La dottrina

Il Malthusianesimo è una dottrina economica che, rifacendosi all'economista inglese Thomas Malthus, attribuisce principalmente alla pressione demografica la diffusione della povertà e della fame in molte aree del pianeta e propugna un energico controllo delle nascite, al fine di evitare il deterioramento dell'ecosistema terrestre e l'erosione delle risorse naturali non rinnovabili. Ralph Waldo Emerson criticò il malthusianesimo osservando che esso non contemplava l'incremento della capacità inventiva e tecnologica dell'essere umano.

Nel "Saggio sul principio della popolazione", scritto nel 1798, Malthus sostiene che la crescita demografica non è ricchezza per lo stato, come credeva la maggior parte degli studiosi dell'epoca.

Egli sostiene che:

  • Mentre la crescita della popolazione è geometrica, quella dei mezzi di sussistenza è solo aritmetica
  • Le classi lavoratrici tendono a reagire a un miglioramento del tenore di vita e quindi un aumento della procreazione.
  • Il rendimento dei terreni tende a decrescere con la messa a coltura di terre non adatte alla coltivazione.

Tutto ciò può portare, secondo Malthus, a un progressivo immiserimento della popolazione.

Per contrastare la miseria sono efficaci solo i "freni preventivi" (come il posticipo dell'età matrimoniale e la castità prematrimoniale) e i "freni repressivi" (come le guerre e le carestie).

Malthus considerava infatti dannosa la politica assistenziale dell'Inghilterra nei confronti dei poveri: questa non faceva altro che aumentare lo sviluppo demografico.

Con il termine "Malthusianesimo" vengono oggi indicate quelle teorie che, ispirandosi a Malthus, attribuiscono la povertà allo squilibrio tra la crescita della popolazione e lo sviluppo delle risorse.

Inoltre, i fattori demografici, il sovrappopolamento e lo squilibrio popolazione-economia sarebbero ritenuti i responsabili delle migrazioni.

Uno dei primi critici delle teorie malthusiane fu Karl Marx che si riferì ad esse, ne Il Capitale, come a «stupidaggini infantili, superficiali plagi di De Foe, Sir James Steuart, Townsend, Franklin, Wallace» e altri, postulando invece che il progresso nella scienza e nella tecnologia consentirebbero una crescita esponenziale indefinita della popolazione.

Malthus sostiene che il capitalismo non è in grado di migliorare le condizioni dei lavoratori, sia perché la popolazione cresce in progressione geometrica (2,4,8,16, …) mentre la produzione dei beni cresce in progressione aritmetica (2,4,6,8,10, …), sia perché la classe salariata non riceve redditi sufficienti ad assorbire la quantità crescente di beni messa sul mercato dal nuovo sistema di produzione industriale. Di conseguenza il capitalismo va incontro a crisi di sovrapproduzione e di ristagno. Se il tasso di accumulazione è maggiore del tasso di crescita della domanda molti prodotti resteranno invenduti; in questa situazione solo i proprietari terrieri possono garantire di assorbire l’eccedenza. Conviene, quindi, fare una politica che sostiene le rendite e non i profitti perché serve un’attività di consumo e non d’investimento.

Mentre Smith aveva cercato di dimostrare che la libertà era il mezzo migliore per accrescere la ricchezza di una nazione e che da un simile arricchimento finivano per trarne giovamento quasi tutti i cittadini, Malthus osserva che questo non  necessariamente era vero dato che la ricchezza può aumentare senza che per questo migliori la situazione dei singoli individui.

Anzi, un simile miglioramento non può assolutamente verificarsi se il numero dei membri della società cresce altrettanto e più rapidamente della quantità di beni disponibili per la soddisfazione dei bisogni.

Sulla base di questa considerazione sostiene che il regime liberale e l’ineguaglianza sociale che ne deriva consentono di migliorare le sorti di almeno una parte dei cittadini dato che determinano una limitazione della spinta demografica.
Al contrario per Malthus un regime di comunanza dei beni e di uguaglianza ridurrebbe fatalmente tutti gli uomini alla miseria.

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