Thomas Robert Malthus, economista e demografo inglese
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Il saggio sulla popolazione

(Utet, Torino 1868 – An Essay on the Principle of Population, as It affects the Future Improvement of Society, with Remarks on the Speculations of Mr. Godwin, M. Condorcet, and other Writers, 1798).

La prima edizione dell'opera, pubblicata in forma anonima, segna l'inizio della riflessione malthusiana sul problema della compatibilità tra crescita demografica e sviluppo economico. La popolazione può crescere, secondo il principio malthusiano, in progressione geometrica, a fronte di una crescita aritmetica (dunque assai più lenta) delle risorse. Il rapporto tra risorse alimentari e popolazione tende perciò a deteriorarsi fino al raggiungimento di un limite oltre il quale si scatenano i cosiddetti freni repressivi, cioè guerre, carestie, epidemie che riducono la numerosità della popolazione, ristabilendo un rapporto più equilibrato con i mezzi di sussistenza.

Alla prima edizione del Saggio ne seguirono altre cinque, tra il 1803 e il 1826, e infine, nel 1830, Esame e sommario del principio di popolazione (ed. it. 1977), dove l'autore, sia pure opponendosi all'idea di un controllo volontario della fecondità, prospettava la possibilità che freni preventivi, e in particolare un ritardo (o addirittura un'astensione) nel contrarre matrimonio da parte dei ceti più poveri, potessero essere adottati per evitare le catastrofi determinate altrimenti dall'eccessiva pressione demografica.

La prima e più nota edizione del Saggio deve essere considerata, più che uno scritto di demografia in senso moderno, una critica delle ideologie progressiste, soprattutto delle teorie illuministiche, e delle "utopie" egualitarie. Malthus, infatti, utilizza la sua presunta "legge" della popolazione per dimostrare l'inevitabilità dell'autodistruzione di ogni società egualitaria. L'idea che la crescita della popolazione fosse limitata dalla disponibilità delle risorse godeva, all'epoca della prima edizione del Saggio, di un ampio consenso.

Dunque Malthus non introdusse in realtà una novità sostanziale nella storia delle teorie della popolazione. Ma certamente la sua teoria, per quanto espressa in modo assai rozzo, conteneva e contiene un nucleo di verità. È infatti evidente che, nonostante le capacità sempre maggiori di accrescere la produzione di mezzi di sussistenza, esiste un limite, se non altro quello dello spazio fisico, che non può essere superato nella crescita demografica.

 La preoccupazione di Malthus di un aumento indiscriminato del proletariato inglese (per il quale egli auspicava l'abbandono di ogni forma di assistenza, al fine di stimolarne il «senso di responsabilità») è simile a quella, assai diffusa alla fine del Novecento, di una crescita incontrollata delle popolazioni del Terzo mondo, incapaci di accrescere allo stesso ritmo le risorse alimentari a loro disposizione.

Malthus si propone l'obiettivo di giustificare “L'ordine liberale”, di “esaltare” le tesi di Smith e la “naturalezza” dell'ineguaglianza sociale. Al contrario di Smith, tuttavia, il Nostro afferma che la ricchezza di una Nazione può aumentare senza che per questo migliori la situazione di ogni singolo individuo: un miglioramento non può verificarsi, dal momento che il numero dei membri della società cresce più rapidamente della quantità di beni disponibili per la soddisfazione dei loro bisogni. Malthus sostiene che il regime liberale e l'ineguaglianza sociale consentono di migliorare le sorti di una parte almeno di cittadini, determinando una limitazione alla “spinta demografica”; un regime di comunanza di beni e di uguaglianza ridurrebbe gli uomini alla miseria.

"Possiamo ritenere certo che la popolazione, se non viene ostacolata in alcun modo nel suo sviluppo, si raddoppia ogni venticinque anni, e cresce, di periodo in periodo,secondo una progressione geometrica" (Saggio sul principio di popolazione, Torino, Utet, 1947).

Malthus intende dire che, tenendo conto della fecondità delle coppie e del grado normale di mortalità, gli uomini si raddoppiano ogni 25 anni; si può ipotizzare che la produzione dei mezzi di sussistenza non segua la stessa legge. La razza umana, afferma Malthus, tende a crescere come i numeri 1,2,4,8,16,ecc., mentre i mezzi di sussistenza crescono al massimo con i numeri 1,2,3,4,5,6,ecc..

Il contrasto tra queste due progressioni costituisce il punto di partenza di tutta la scienza sociale: l'economista inglese, sulla base di quel contrasto, ritiene che una popolazione, il cui comportamento matrimoniale e sessuale non venga in alcun modo controllato e frenato, è destinata a rimanere povera. Solo coloro, che hanno i mezzi per allevare tutti quei figli che possono generare durante la loro vita, avranno il “diritto morale” di sposarsi in età giovane; gli altri, a seconda dell'entità del loro patrimonio o dei loro redditi, dovranno procrastinare l'epoca del loro matrimonio. Il problema può essere completamente risolto sopprimendo ogni misura di assistenza ai poveri.

La teoria sviluppata nel “Saggio sul principio di popolazione” può essere considerata una “concezione errata” del naturalismo sociale: se è pur vero che la pressione demografica determina, in molti casi, una situazione di miseria, ciò non implica, tuttavia, che tutte le Nazioni si sviluppino seguendo una medesima legge, dal momento che numerose variabili quali l'organizzazione sociale, i costumi, la religione influenzano, in modo considerevole sia i matrimoni che la fecondità delle coppie.

Th.R.M. si trova, nel corso dei suoi studi, di fronte a casi che contrastano con la “tendenza alla sovrappopolazione”, dal momento che, per esempio, i romani dei primi secoli evidenziano un regresso demografico ed uno spopolamento: Malthus attribuisce tale tendenza alle “abitudini viziose” dei romani, ma appare evidente che questa spiegazione è sin troppo elementare, sbrigativa, non veritiera.

Malthus spesso evidenzia il suo animo di prete e di cristiano: per lui il mondo è un processo voluto da Dio, per la creazione e la formazione dell'intelligenza, ma perché l'uomo possa esercitare la propria intelligenza occorre che sia spinto al lavoro dalla necessità di soddisfare i suoi bisogni. La stessa “infelicità” costituisce (è evidente l'influsso puritano) una molla indispensabile per lo sviluppo del genere umano: “I dolori, le sventure costituiscono un'altra categoria di incentivi, che sembrano essere necessari, per ingentilire e rendere più umano il cuore, per risvegliare sentimenti di simpatia sociale, per ingenerare tutte le cristiane virtù” (Saggio sul principio di popolazione, Torino, Utet, 1947)

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