Mandala

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Forme
Io sono l’abitante della villa abbandonata su in collina, avvolta nel suo degrado, come fossi l’ultimo rifugio sicuro di curiose forme naturali non accette in società. Che cosa intendo di preciso, per quanto l’argomento sia ostico e sfuggente, ve lo spiegherò dettagliatamente un po’ più avanti nel discorso.
Anticamente la mia decrepita dimora era una piccola reggia di campagna di qualche nobile europeo, con un codazzo di servi e di amanti, e questo spiega i dipinti erotici all’entrata e particolari simboli ancestrali che son disposti come i quattro punti cardinali, ma al contrario di quelli disorientano l’osservatore, facendogli perdere il comprendonio.
Una leggenda parla di molti stranieri che avrebbero preso a vagare nei boschetti lì attorno, fino a perdersi e non trovare più la strada per la città. Il bello è che i poveretti non erano in grado nemmeno di tornare alla villa, perché quella scompariva ai loro occhi, avvolta in una nube trasparente.
In genere il finale è tragico. Morte per fame, per assideramento nella brutta stagione, per colpi di calore e sete in estate.
Ciò che succedeva lì dentro nessuno è in grado di spiegarlo, tranne lo spirito del signor conte che cammina nell’ultima stanza col candelabro, e le serve giù da basso imprigionate vicino alle cantine, petulanti come da vive.
Persino io, abitante immaginario, non ho scoperto granché, oltre a quelle poche cose constatate di persona durante le mie passeggiate circolari attorno alle mura già di per sé rotonde, con la facciata e il delizioso pozzetto dei putti, dal quale un dì sgorgava acqua di sorgente per i passerotti e i merli.
Ai piedi della consunta scalinata c’è un giardino con le statue di strani individui pressoché sconosciuti al volgo, ma tutti gran pensatori, frammassoni che s’occupavano di stelle del firmamento e stelle di società.
Essi si conoscevano molto bene tra di loro e tanto bastava. Lessicografici, matematici, generali d’esercito, politici dallo sguardo sveglio, sorveglianti di ciò che rimaneva di giorni gloriosi e persi. Ma dietro alle statue altrettanti ometti dallo sguardo allarmato facevano il lavoro della talpa. E qualche busto cadeva rumorosamente, ruzzolando giù per la discesa del colle fino alla grande piazza.
Non ho mai visto un attentatore per intero e dubito fortemente che si tratti di persona viva, bensì d’anima defunta e irrequieta che per una qualche ragione, forse un torto subito, ce l’aveva a morte col galantuomo della statua prescelta.
Perché in questo paese è cosi, ognuno ha nemici che gli stanno alle calcagna anche nell’aldilà. Si gingillano tra di loro a farsi i dispettucci e così passano il tempo.
Come vi ho anticipato, lasciamo perdere chi ha contato e chi conta tutt’ora e veniamo al sodo, ai poveri scarti del marcio che a volte ho trovato più sopportabili e gradevoli d’altri famosi potenti. E non sono nemmeno sicuro che gli abitanti di questa specie di limbo siano meno importanti o destinati a minor gloria, dati i tempi balordi di transizione da un’era ad un’altra.
Ho visto nell’ombra del salice piangente una suora badessa tonda come una quaglia. Ella insegnava oramai senza scolaresca con una temibile bacchetta travestita da metro per misurare non si sa che. Odorava di gesso e di frittelle, di bicchierini di vino dolce e rosso.
Più in là c’era una donnina che si tingeva i capelli di marrone rossiccio e fumava, beveva e benché non si potesse dire bella a me sembrava piacente e civettuola, così magrolina, con quell’aria canterina di paese.
Queste figurine m’apparivano più vive di altre, come se l’avessi conosciute personalmente, magari sotto altra spoglia, in altra dimensione che non era presente alla ragione.
Lo dico perché ho conosciuto altre forme vaganti di cui son sicuro d’aver solo letto o d’averne sentito parlare. Esse camminavano eleganti attorno alla casina fatata, come fosse la cosa più naturale di questo mondo che dei soffi di vetro s’aggirassero sopra l’erba del prato senza calpestare margherite e capelvenere.
Ciò che ho imparato da loro è che non c’era posto neanche prima di me per tutti indistintamente, in questo paese di gente perbene, e gli scarti si rifugiavano dove potevano, creandosi una loro esistenza di beatitudine e beltà.
Le musiche, le poesie, le danze più sublimi si conservavano a questo modo intatte in mezzo a tanto degrado.

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